Dalla Sicilia al Golfo di Napoli

Un quarantenne che ama la moda ma prima ancora l’arte:  “Non creo il vestito, creo la donna” 

Lo Stilista ispirato dall’approdo ad Ischia.

“I will not sit here working at my life job & let the war pass me by”.

La frase, pronunciata  da Marlene Dietrich,  è riportata su un numero di “Vogue” dell’agosto del 1944.

Parole di grande attualità, perché ogni guerra è mondiale e ieri come oggi le guerre non finiscono mai.

Verrebbe da immaginarle impresse a caratteri cubitali sullo striscione di una manifestazione di pacifisti. O, perché no, stampate sui vestiti, in modo da andarci in giro e dirla a chiunque, in maniera discreta ma incisiva, in ogni momento della giornata.

L’ha fatto Elio Fronterrè, stilista siciliano, ad Ischia (l’isola è stata per lui “un approdo ed un ritorno alle origini, nonché una fonte d’ispirazione”).

Non necessariamente la rivoluzione comincia dal modo in cui ci vestiamo ma spesso, è ben venga, è così.

Gli abiti mandano messaggi ed  è affascinante constatare l’irriverenza del loro linguaggio, l’universo di disaccordo che comunicano colui e colei che li indossano.

E’ decisamente più interessante portare vestiti che parlano anziché vestiti muti, inespressivi, quelle cose che la quotidianità spesso ci obbliga ad indossare. Inespressivi non sono soltanto i vestiti scialbi, lo sono di più quei capi ricercati che impone il mainstream, il capo firmato che vedi addosso a chiunque, anche a chi non se lo può permettere, tanto il mercato garantisce quasi sempre la copia, oggetto accessibile a tutti. Nei vestiti di Elio Fronterrè c’è identità,  e c’è originalità, ma questa paradossalmente è la cosa che meno conta. C’è l’identità di una di una persona che vive la creazione come atto unico, ripetibile solo a patto di una logica che risponda a criteri di serialità artistica. Per questo motivo spesso i suoi pezzi non superano la mezza dozzina, cifra irrisoria se si pensa la produzione del mondo delle grandi firme a cui Fronterrè, è bene dirlo, comunque appartiene. Immagino che dipingere un quadro, per lui che pure pittore, non sia poi tanto diverso dall’ ideare una gonna, un abito, un pantalone.

”Quando  crei una donna la vedi, è come un quadro, cerchi di seguire la simmetria”. Il creatore di abiti parla di “creare la donna,” non l’abito.

Questo fa parte della sua identità, la stessa che mette nei suoi vestiti, unici anche per questa ragione. Nel gioco c’è l’onnipotenza tipica dell’artista, più che dello stilista di moda.

Anche se poi, in fin dei conti, si tratta sempre di creare archetipi modelli di riferimento. Ma perlomeno Fronterrè si stacca volentieri dal mercato, la sua produzione è esclusiva, incomparabile. I paragoni se proprio li vogliamo fare, stanno in quei retaggi culturali che fanno parte della sua vita: la Sicilia, il cinema italiano, e giapponese in particolare, la pittura, Guttuso soprattutto, la musica, De Andre e Mina su tutti:

”Sono diviso tra l’effimero e il profondo.L’opera omnia di de Andrè mi parla dentro, quella di Mina riflette il mondo, è l’essenza delle cose più futili, che poi sono quelle che viviamo tutti i giorni, un buon bicchiere di vino, un caffè”. La Sicilia di Fronterrè è Marzamemi, villaggio di pescatori sulla punta estrema sotto Siracusa, soleggiato arabeggiante. E’ proprio dalla sua terra che arriva l’ispirazione forse più straordinaria dell’intera collezione, una gonna che si può indossare in otto modi diversi.

L’idea gli è venuta da un’antica tradizione siciliana che aveva per protagonista  le mogli dei pescatori. Alla fine della mattanza, le donne portavano il pesce in dono al principe e per presentarsi dinanzi a lui nella maniera più decente possibile senza dover ricorrere al cambio d’abito, si giravano all’indietro la parannanza, il grembiule.

Fronterrè appartiene a quella categoria di persone che mette la vita nel proprio lavoro, e la sua vita è esplorazione, sperimentazione, cultura, origini. I suoi sentimenti, le sue passioni.

Alessandra Amitrano su: Corriere della Sera, martedì 2 settembre 2008

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